BIOGRAFIA

Stefano Di Loreto - Francavilla al Mare / Roma

Inizia a dipingere quadri figurativi fin da ragazzo, scoprendo in seguito una particolare fascinazione verso un tipo di arte più rarefatta e concettuale. Il suo percorso di ricerca lo conduce ad avvicinarsi alla Pop-art italiana e al Nouveau Realisme, dei quali ammira la libertà espressiva e l’utilizzo del colore.

Nel corso del tempo elabora uno stile pittorico del tutto personale che, se si inscrive a prima vista nell’ambito dell’Arte Concettuale, in realtà se ne discosta nella volontà originale di decostruire i concetti mediante l’uso del colore, affermandosi così come espressione artistica nuova, a cui l’artista assegna il nome di “Decostruzione Concettuale” e che inaugura il 9 gennaio 2016 in occasione della mostra personale presso il Museo Michetti (MuMi) di Francavilla al Mare.

Rappresenta tematiche attuali come: Globalizzazione, Economia, Alimentazione, Comunicazione, Tempo, Humanitas ed altre, sprigionando l’energia dei colori attraverso frustate che colpiscono oggetti ready-made posti sulla tela, al fine di suscitare un maggior senso critico dell’uomo di fronte allo stato di inquietudine che lo affligge, tale da permettere quella giusta riflessione per individuare la strada verso la sua rivalsa. In questo modo attua una decostruzione innovativa, non degli Oggetti, ma dei Concetti, per affermare infine, de-costruendo, Concetti positivi.

Espone in diverse mostre personali museali e in numerose rassegne artistiche internazionali tra cui la 57ma La Biennale di Venezia
in cui Espone l’opera cinetica Tempo - decostruzione al quadrato.

BIOGRAPHY

The artist began painting figurative paintings since when he was young, to later discover a particular fascination with a type of subtle and conceptual art. His searching path led him to approach the Italian Pop Art and New Realism, for which he admired the freedom of expression and the use of color.

Over the time, Stefano di Loreto developed a very personal painting style. If at first sight his art joins Conceptual Art, it differs in the original will to deconstruct the concepts through the use of color, becoming a new artistic expression, in which the artist assigns the name of "Conceptual Deconstruction" and which opens January 9, 2016 on the occasion of the exhibition at the Museo Michetti (MuMi) of Francavilla al Mare (IT).

Di Loreto's art represents current issues such as Globalization, Economics, Nutrition, Communication, Time, the Humanitas and other, releasing the energy of colors through lashes that strike ready-made objects placed on the canvas, in order to elicit a more critical sense in mankind in front of the state of restlessness that afflicts him, to make the right reflection in order to identify the way to its revenge. In this way he implements an innovative deconstruction, not of objects, but of concepts, to finally express, trough de-constructing, positive concepts.

He exhibited in several museums solo and in numerous international art exhibitions, among wich at 57th La Biennale di Venezia,  in which exhibites the kinetic artwork Tempo - decostruzione al quadrato

ATTIVITA' ARTISTICA

2020

Go Beyong 2019-2020,  "La Sostenibilità ambientale nell'Agenda ONU 2030" Seminario di Alta Formazione, Roma 21 febbraio - invito a relazionare in qualtà di artista che ha fatto della sostenibilità il tema del suo ciclo di opere attualmente in realizzazione.

La rosa dei venti, "Premio della Lupa" VII edizione, Roma 7/13 Febbraio presso Medina Gallery - invito, come Maestro fuori concorso, ad esporre l'innovativa scultura ToxicAir On-Off.

2019

National Architecture Centre, Liverpool, Inghilterra - Esposizione Internazionale d'Arte della Fondazione di Ricerca Scientifica Amedeo Modigliani, progetto MoovArt contemporary artists; dal 20 al 28 agosto; espone le sculture ToxicAir 02 e ToxicAir DNA.

Castel dell'Ovo, Napoli, Esposizione Internazionale d'Arte della Fondazione di Ricerca Scientifica Amedeo Modigliani, progetto MoovArt contemporary artists; espone in anteprima n. 3 sculture: ToxicAir 01, 02 e ToxicAir DNA.

Museo d'Arte Moderna Vittoria Colonna, Pescara, Disegna la copertina del CD musicale Pop harps live per la Spray Records che viene presentato il 12 maggio; in tale occasione presenta n. 3 opere "Pop harps tribute 01, 02 e 03" che restano esposte fino al 06 giugno.

2018

Museo CBK (Centrum Voor Beeldende Kunst), Amsterdam, Personale di Pittura nell’ambito della Mostra “Blackout”, dal 21 aprile al 5 maggio; esposte n. 12 opere della Decostruzione Concettuale; organizzazione evento Jelmoni Studio Gallery Milano-Londra.

ArtExpo New York 2018 - Mostra Internazionale Art Expo New York 2018, 40a edizione dal 19 al 22 aprile, Padiglione Italia PIER94-BOOTH241 curato da Contemply Art & Investment, vincitore dello “Spotlight Award”; opera presentata “Potere e Violenza".

2017

Palazzo Albrizzi-Capello “57. Esposizione Internazionale d'Arte - La Biennale di Venezia, Padiglione Nazionale Guatemala” Commissario José Luis Chea Urruela, Curatore Daniele Radini Tedeschi; Venezia 13 maggio / 26 novembre. Artista de “El círculo mágico”, collettivo presente al Padiglione Nazionale Guatemala della 57. Esposizione Internazionale d'Arte - La Biennale di Venezia. Espone l’opera cinetica Tempo decostruzione al quadrato. Riceve il Premio di Merito dal Ministro della Cultura José Luis Chea Urruela “per il significato sociale e la valenza artistica dell’opera esposta presso il Padiglione Nazionale Guatemala presente alla 57. Biennale di Venezia (13.05 – 26.11.2017)”.

Vaticano - Palazzo Pontificio Maffei Marescotti "Omaggio all'Estetica Paradisiaca", Roma; esposizione dal 6 al 15 settembre, partecipa in qualità di Ospite in mostra; riceve il Premio Estetica Paradisiaca; opera selezionata "Tempo Tic-Tic omaggio a Dino Buzzati".

Espace Christiane Peugeot “Premio Internazionale d’Arte - Salvador Dalì”, organizzazione a cura di ArtetrA e PrinceArt, 19/29 gennaio - Parigi. Espone l’opera "Tempo 10".

2016

Palazzo Versace, “Italian Style”, Dubai 10/15 dicembre 2016; mostra di pittura organizzata dall’Associazione Internazionale dell’Arte in collaborazione con la Camera di Commercio in UEA; opera selezionata “Felicità in cifre 03”.

Miami Convention Center, “Miami River Art Fair 2016”, Miami Usa, 1-4 dicembre; organizzazione a cura di Italia Arte, Media Partner Mondiale; opera selezionata “Tecno iPhone - omaggio a Steve Jobs”.

Fortezza Da Basso, Arte Firenze 2016 – “Premio Internazionale d’Arte Contemporanea Sandro Botticelli”, Firenze 18/20 novembre 2016; organizzazione a cura di ArtetrA e PrinceArt con la speciale partecipazione del critico d’arte Vittorio Sgarbi e dello storico e critico d’arte Daniele Radini Tedeschi in veste di Presidente di Giuria. Vincitore Sezione Pittura con l’opera “Felicità in cifre decostruzione al quadrato”.

Museo Internazionale Italia Arte (MIIT), “FOR ART - Maestri al Museo MIIT”, in occasione di Artissima e Luci d’Artista 2016, Torino, esposizione dal 27 ottobre al 6 novembre 2016, opere selezionate: “Felicità in cifre 04”, “Tempo 10”, “Tecno iPhone omaggio a Steve Jobs”.

Mediolanum Art Gallery, Padova, Artista scelto dalla Banca Mediolanum per l'esposizione permanente delle sue opere presso il MAG - Mediolanum Art Gallery. La presentazione delle opere d'arte, curata dallo Storico e Critico d'Arte dott. Giorgio Gregorio Grasso, è avvenuta in occasione dell'inaugurazione ufficiale il 9 settembre in presenza del Presidentre di Banca Mediolanum dott. Ennio Doris.

Museo d'Arte Moderna Vittoria Colonna, Pescara, Personale di pittura "Decostruzione Concettuale"; esposizione dal 6 al 26 luglio con il Patrocinio del Comune di Pescara; opere esposte n° 42 delle sezioni Tempo, Comunicazione, Economia, Alimentazione, Globalizzazione, Humanitas ed Altro; critici d'arte intervenuti: dott.ssa Carla D'Aurelio, dott.ssa Annalisa Fanti; presentazione a cura della letterata e poetessa dott.ssa Caterina Di Loreto; presentazione alla stampa a cura della scrittrice dott.ssa Loretta Tobia.

Musée du Louvre, Le Carrousel, Parigi, Art Shopping, esposizione dal 27 al 29 maggio con QueenArtStudio Gallery; opere selezionate: Tempo 07, Wall Street 04, Tecno IPhone 02 e Tecno SmartPhone 02; cutatrice dott.ssa Maria Grazia Todaro.

Museo Laboratorio di Arte Contemporanea (MLAC), Roma, Concorso Arte in luce IV edizione “Integrarte: integrazione e multiculturalità” bandito dalla Fondazione Roma Sapienza dell’Università Sapienza; esposizione nei giorni 5-6-7 aprile; opere selezionate: Immigrazione 01, 02, 04. Vincitore Sezione Pittura con l’opera “Immigrazione 01”.

Museo Venanzo Crocetti, Roma, Mostra Antologica “L’Italia degli Artisti: dalla 56° Biennale di Venezia al Giubileo della Misericordia”; esposizione dal 18 marzo al 7 aprile; opera selezionata Tempo 05; curatrice dott.ssa Stefania Pieralice.

Camera dei Deputati, Palazzo Montecitorio, Sala Stampa, Roma, Conferenza sull’Estetica Paradisiaca e trattazione degli artisti in mostra al Museo Venanzo Crocetti nell’ambito della Mostra Antologica “L’Italia degli Artisti. Dalla 56° Biennale di Venezia al Giubileo della Misericordia. Talenti e maestri a confronto”; 18 marzo ore 15.00/17.00; interventi: dott. Daniele Radini Tedeschi, dott.ssa Stefania Pieralice.

Museo Michetti (MUMI), Francavilla al Mare, Personale di pittura “Decostruzione Concettuale”; esposizione dal 9 al 20 gennaio con il Patrocinio del Comune di Francavilla al Mare; opere esposte n. 50 delle sezioni Tempo, Comunicazione, Economia, Alimentazione, Globalizzazione, Humanitas; critici d’arte intervenuti: dott.ssa Carla D’Aurelio, dott.ssa Annalisa Fanti; presentazione a cura della letterata e poetessa dott.ssa Caterina Di Loreto.

2015

Vaticano - Palazzo Pontificio Maffei Marescotti, Roma, esposizione internazionale “Artisti per il Giubileo” in occasione dell’apertura del Giubileo della Misericordia; organizzazione Start s.r.l.s già impegnata nella Biennale di Venezia 2015; esposizione dal 3 al 13 dicembre; opera selezionata Pietà Cristiana; curatrice dott.ssa Maria Luciani.

Palazzo Sirena, Sala ovale, Francavilla al Mare, Personale di pittura “L’Anima delle cose”, esposizione dal 27 luglio al 3 agosto con il Patrocinio del Comune di Francavilla al Mare; opere esposte n. 30; intervento del critico d’arte dott.ssa Carla D’Aurelio; presentazione a cura della letterata e poetessa dott.ssa Caterina Di Loreto.

2012

Museo Laboratorio di Arte Contemporanea (MLAC), Roma, Concorso Arte in luce I edizione bandito dalla Fondazione Roma Sapienza dell’Università Sapienza; esposizione dal 23 al 31 ottobre; opere selezionate: Ricerca Mater, Raptus calami.

Roma, Concorso Arte in luce IV edizione “Integrarte: integrazione e multiculturalità” bandito dalla Fondazione Roma Sapienza dell’Università Sapienza; esposizione nei giorni 5-6-7 aprile; opere selezionate: Immigrazione 01, 02, 04. Vincitore Sezione Pittura con l’opera “Immigrazione 01”.

PUBBLICAZIONI

Atlante dell’Arte Contemporanea DeAgostini


atlante
COORDINAMENTO SCIENTIFICO:
Daniele Radini Tedeschi
Stefania Pieralice
ISBN 978-88-51149963
Gennaio 2019

 

DI LORETO, STEFANO
Acciano (AQ), 28 ottobre 1954
TECNICHE: assemblaggi, tecnica mista su tela
GENERE: “Decostruzione concettuale” (Movimento da lui fondato), arte cinetica

L’artista abruzzese scopre sin da giovane la sua forte passione per l’arte tuttavia la sua evoluzione pittorica diviene nel tempo sempre più astratta e rarefatta. Da un’arte prettamente concettuale in cui il risultato percettivo è secondario rispetto al principio insito introspettivo, giunge poi ad una forma espressiva “frantumata” in cui per arrivare al concetto espresso la figurazione subisce una sorta di “collasso”. Nasce quindi, utilizzando le parole dell’artista, la “Decostruzione concettuale”, un ciclo di opere in cui il Tempo, la Comunicazione, la Globalizzazione, l’Economia, il concetto di Humanitas, il Potere, l’Amore vengono interpretati sulla tela con l’utilizzo di materiali vari, tra cui vernici, plexiglass, marchingegni elettronici, e subiscono inevitabilmente una loro “corruzione”. La mostra inaugurata nel 2016 presso il Museo Michetti di Francavilla al Mare è proprio una summa di queste opere inaugurando l’inizio di un nuovo ciclo vibrante. Nell’ambito della 57. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia Di Loreto, membro del collettivo El Circulo Magico del Padiglione Guatemala, offre all’osservatore il suo animo tormentato, lacerato, con un imponente lavoro oscillatorio “Tempo decostruzione al quadrato” dove il rintocco di ogni secondo viene scandito dal movimento dell’opera, le lancette dell’orologio si bloccano ad una precisa ora, l’ora della Fine, il momento di un ricordo tragico e doloroso. Ed è qui, in quel preciso instante, che l’esistenza perde il senso; l’artista offre al pubblico, tacitamente, il contatto temporale in cui ingiustamente viene meno una vita. Da quell’ora l’arte in se come Bellezza non ha più senso, il termine dovrà evocare solo quel relativismo storico e quella crisi esistenziale in cui l’umanità è piombata. Tuttavia come recita la scrittrice Caterina Di Loreto “Il tempo meccanico non soccombe sotto l’impeto di distruzione, l’orologio sulla tela non si scioglie… nel momento in cui l’artista infatti sembra intenzionato a distruggere e negare il tempo meccanico, costruisce, o meglio recupera, il valore del tempo soggettivo, in una pluralità dicotomica che si afferma come una decostruzione del concetto e che diviene la cifra stilistica dell’artista” E ancora “Davanti alla fuga dei numeri sulla tela, si avverte l’impressione che quelle cifre desiderino per prime distaccarsi dall’ingranaggio meccanico per ricongiungersi finalmente a un ideale di bellezza e armonia primigenie di cui sono espressione” (AA.VV. La Marge 57. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Padiglione Guatemala, 2017, pp. 158; 159). Ed ecco allora che Di Loreto sostituisce la Scienza alla Coscienza, l’unità di misura dei fenomeni fisici è oramai scandagliata dai flussi dello spirito, dall’esperienza introspettiva, dal vissuto. Sulla falsariga dell’insegnamento kantiano il tempo come realtà oggettiva viene scardinato da quei tocchi di colore che come frustate percuotono l’opera d’arte. Tale impeto, tale pathos così toccante, si manifesta in ogni gesto, in ogni traccia ricondotta all’artista. La società con i suoi valori etici ed estetici risulta sì lacerata e sanguinante ma tiene in sé sempre quel principio universale d’essere restituita a nuova Vita. Tra le più recenti rassegne a cui ha partecipato, oltre a quella sopra citata, ricordiamo: Italian Style presso palazzo Versace a Dubai nel 2016; Miami River Art Fair del 2016 negli U.S.A. e L’Italia degli Artisti in occasione dell’anno giubilare svoltasi a Roma nel 2016.

CRITICHE

La Marge, Guatemala Pavilion - Biennale Arte 2017, Curated by Daniele Radini Tedeschi, Edizioni Start (57th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia)

Stefano Di Loreto. Tempo decostruzione al quadrato
Anche un orologio fermo segna l’ora giusta, due volte al giorno (Hermann Hesse)"

Una macchia rettangolare bianca in lontananza spicca alla vista per un insolito moto ondulatorio rispetto alle altre opere in mostra. Avvicinandosi ci si accorge che è una tela luminosa, e ancor più prossimi, si comincia a notare uno strano orologio impazzito. L’opera di Stefano Di Loreto affronta il tema del Tempo, simulandolo, immettendosi all’interno di esso per giungere sino al margine tra tempo meccanico e tempo naturale. Un orologio esploso, infranto, ridotto in pezzi, è la metafora di una necessità umana giunta ormai alla sua più imminente riscossione: troppo a lungo si è condizionata una esistenza dietro alle strutture innaturali - regole, orari, discipline - ed ora la parte naturale rimanente nell’uomo può solo che ribellarsi. Distruggendo ogni cosa. L’orologio così diviene il pretesto per una decostruzione dell’idea stessa di tempo, minata nella sua dimensione oggettiva. Molto attinente risulta essere la definizione che Aristotele forniva al Tempo, ovvero “il numero del movimento secondo il prima e il poi” (Fisica IV, 11, 219b) quasi come un grande pendolo agitato da un lato passato ad un altro futuro. Ed ecco l’immagine di un automa dalle sembianze di quadro-orologio, impazzito nella sua mobilità dinamica, futurista quanto basta, minimale per ragion d’essere, folle per interiorità, cuore e viscere della sostanza di ingranaggi, incastri, ruote, cavi elettrici. Una vita meccanica per un’opera d’arte cinetica che vede nel movimento la sua essenza e la sua realizzazione.

Nell’epoca del digitale sembra che ogni azione umana sia soggetta non tanto al tempo piuttosto alla sua misurazione, ansiosa, nevrotica, compulsiva. Anche gli animali ad esempio vivono nel nostro stesso tempo, ma trovano una cadenza naturale così diversa dal nostro ritmo delirante. L’uomo non sarà mai in grado di misurare correttamente il tempo, potrà solo inseguirlo perfezionando la sua tecnologia o la sua meccanica, ma in nessun modo riuscirà ad afferrare la sua essenza impalpabile; a tal proposito le parole di Sant’Agostino tornano quanto mai calzanti: “Che cos’è allora il tempo? Se nessuno me lo chiede lo so; se dovessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so”. Inoltre, per meglio comprendere il messaggio dell’opera dell’artista bisogna riflettere sulle parole scritte (nota.1) da Caterina Di Loreto, sua figlia, sensibile poetessa e attenta osservatrice dei fenomeni artistici contemporanei, la quale sostiene: “Nell’epoca in cui la meccanicità e le telecomunicazioni ci costringono a ritmi di velocità inesorabili, tutto si dispiega tanto rapidamente che il tempo soccombe insieme a noi sotto la cieca frenesia a cui l’uomo l’ha condannato; scriveva William Faulkner a metà del secolo trascorso “Il tempo è morto fintanto che è scandito da piccoli ingranaggi. Solo quando l’orologio si ferma il tempo prende vita”. Se tutto viene tramutato ai fini di un ordine meccanico e artificiale, anche il tempo è stato ingabbiato dentro a un ingranaggio meccanico, tuttavia Stefano Di Loreto travalica il suo estro artistico e si erge sull’apparente ineffabilità del tempo come un vate, il suo profeta, la sua voce; egli fregiandosi della forza dirompente ma armonica del colore bianco, si scaglia contro l’orologio, la gabbia meccanica, e libera il tempo, restituendolo a nuova vita, oscillando fra una bellezza artistica che delinea un’estetica sfiorata da un alito ascetico e la potenza del vaticinio, profezia di un messaggio nuovo da annunciare all’umanità”.

Dott. Daniele Radini Tedeschi - Venezia 12 Maggio 2017

La Marge, Guatemala Pavilion - Biennale Arte 2017, Curated by Daniele Radini Tedeschi, Edizioni Start (57th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia)

Tempo - decostruzione al quadrato

Nell'epoca in cui la meccanicità e le telecomunicazioni ci costringono a ritmi di velocità inesorabili, tutto si dispiega tanto rapidamente che il tempo stesso soccombe insieme a noi sotto la cieca frenesia a cui l'uomo l'ha condannato; scriveva William Faulkner a metà del secolo trascorso “Il tempo è morto fintanto che è scandito da piccoli ingranaggi. Solo quando l’orologio si ferma il tempo prende vita”. Se tutto viene tramutato ai fini di un ordine meccanico e artificiale, anche il tempo è stato ingabbiato dentro a un ingranaggio meccanico, tuttavia Stefano Di Loreto travalica il suo estro artistico e si erge sull'apparente ineffabilità del tempo come un vate, il suo profeta, la sua voce; egli fregiandosi della forza dirompente ma armonica del colore bianco, si scaglia contro l'orologio, la gabbia meccanica, e libera il tempo, restituendolo a nuova vita, oscillando fra una bellezza artistica che delinea un'estetica sfiorata da un alito ascetico e la potenza del vaticinio, profezia di un messaggio nuovo da annunciare all'umanità.

Se Salvador Dalì aveva liquefatto gli orologi in un rarefatto paesaggio costiero della Costa Brava, come il molle camembert della sua cena in una sera stanca del 1931, evocando il flusso elastico della memoria che tenta di defluire dalla meccanicità degli ingranaggi e afferma la soggettività del proprio tempo, Stefano Di Loreto si scaglia con rabbia contro l'orologio ingannatore come contro un bersaglio, colpendolo con getti di colore violenti simili a frustate, ed esprimendo così tutta l'esasperazione e la drammaticità di un'epoca che getta l'uomo in una profonda e irrisolvibile crisi esistenziale, quasi restituendo la violenza subita e di cui si è preso coscienza in un attimo rivelatore.

Ma il tempo meccanico non soccombe sotto all'impeto di distruzione, l'orologio sulla tela non si scioglie come un camembert, non si distorce o scompone in pezzi dilaniati: nello stesso momento in cui l'artista infatti sembra intenzionato a distruggere e negare il tempo meccanico, costruisce, o meglio recupera, il valore del tempo come tempo soggettivo, in una pluralità dicotomica che si afferma come una decostruzione del concetto e che diviene la cifra stilistica dell'artista.

Sotto i colpi del colore, alcuni numeri cominciano ad allontanarsi dall'orologio prima degli altri: sono l'1, il 2, il 3, il 5 e l'8. Si tratta, a ben vedere, dei numeri che formano il principio della successione di Finobacci, in cui ogni termine è la somma dei due precedenti e il cui rapporto tra due numeri consecutivi approssima via via sempre con maggior precisione il numero aureo, numero irrazionale, che in epoca rinascimentale venne definito proporzione divina, per via della sua ineffabilità per mezzo di una ratio o frazione, che gli imprimeva un carattere occulto e segreto, e per cui fu assimilato all'inconoscibilità del mistero divino per mezzo della ragione umana.

Davanti alla fuga dei numeri sulla tela, si avverte l'impressione che quelle cifre desiderino per prime distaccarsi dall'ingranaggio meccanico per ricongiungersi finalmente a un ideale di bellezza e armonia primigenie di cui sono espressione. La stessa dimensione della tela e la collocazione dell'orologio sono riconducibili alla sezione aurea, riproponendo quelle proporzioni che furono assunte fin dal popolo greco antico e probabilmente ancor prima come canone di bellezza, in quanto desunte dalla perfezione della natura.

L'artista sembra contrapporre la meccanicità dell'orologio, inganno del tempo artificiale, a una bellezza, un cosmos primordiali, tentando di riconciliare il nostro essere svilito e alterato dalla meccanizzazione alla sua sostanza naturale, a un ordine realmente esistente e non artificiale, e così all'essenza del tempo come tempo soggettivo, ma più oltre, mettendolo in relazione, tramite l'allusione al numero aureo - afflato al divino -, con una dimensione ascetica.

Emblematico è infatti l'uso del monocromo bianco: non solo la tela e l'orologio sono dipinti interamente di bianco, ma anche gli stessi getti di colore che colpiscono l'ingranaggio meccanico; sembra quindi che l'impeto rabbioso con cui l'artista si scaglia contro il concetto in negativo sia denaturato, e un più elevato carattere di sacralità si sovrapponga alla stessa azione di distruzione finalizzata al recupero del tempo, alla sua rinascita. Effondendo all'intorno un'aurea quasi mistica, il monocromo bianco riesce a creare un incontro privilegiato tra l'opera e lo spettatore ed eleva quest'ultimo ad una dimensione ascetica in cui si rivela una purezza primigenia.

Ma come Giano, il dio latino bifronte, che con un volto scruta il futuro e con un altro si rivolge al passato, e – dio della porta – guarda all'interno e all'esterno, ecco che, secondo quella dicotomia oppositiva che si inscrive tipicamente nella decostruzione, con un gioco ritmico cadenzato l'opera si illumina, acquistando una bidimensionalità stupefacente: dal retro dell'opera, la luce che pervade la tela offusca inaspettatamente l'orologio e i getti di colore che, tinti di nero, sembrano ora colpire la tela simili ad aguzzi coltelli improvvisi, come se all'interno dell'opera fosse racchiusa una forza oscura dirompente, che abbia smania di liberarsi. Assistiamo così ad un raddoppiamento della decostruzione del tempo: l'opera acquista un aspetto nuovo e inaspettato, brutale, cupo, atro, che squarcia ora l'ascetismo, per ritornare, a luce spenta, alla sua purezza bianca, come se l'opera accesa e spenta seguendo la cadenza di un ritmo armonico si dimenasse dannatamente fra il corpo e l'anima.

Ma un ulteriore aspetto sorprendente caratterizza l'opera di Stefano Di Loreto e ne imprime con maggiore forza il carattere profondamente innovativo: trasfondendosi in meta arte, l'opera acquista su di sé l'oscillazione tipica degli orologi a pendolo, recuperando e svelando essa stessa, tramite il suo candore, il tempo nel suo valore arcaico, puro, naturale, e divenendo nella sua interezza, a ben vedere, il soggetto privilegiato dell'artista. È la tela ora che, col suo moto oscillatorio, sembra evocare la figura del cerchio, tipica dell'orologio, ma soprattutto simbolo per eccellenza, da sempre, dell'onnipresenza del divino, in quanto linea conclusa, in cui ogni punto è equidistante dal centro, il cui inizio coincide sempre con la fine e capace di cingere simultaneamente presente, passato e futuro.

Eppure, al momento di congedarci dall'opera, voltate ad essa le spalle, sembra indugiare l'impressione di una percezione ostinata di quel movimento oscillatorio, che assume ora le esangui sembianze del tempo dilaniato, le sue solitarie spoglie, il ritmo martellante della sua persecuzione; in fondo, con qualsiasi volto lo si voglia considerare, resta pur sempre, ancorata all'inesorabilità del tempo, l'angoscia del trascorrere, un'eco gelida e lontana di vecchiaia e di morte, lo smilzo simulacro dell'omnia vanitas. Proprio per la sua natura conclusa infatti, percorrendo la traiettoria ripetitiva e sempre uguale del cerchio, se da un lato si ha la possibilità di esperire un viaggio mistico interiore, dall'altro, ancora legati all'immanente, ci si ostina a cercare fuori di sé e del cerchio quanto già ci appartiene in ogni punto, sfuggendoci ineluttabilmente il centro, disorientati da mete vane e illusorie; persi fra i ritmi cadenzati, ripetitivi, del quotidiano, delle lancette, delle attese disilluse e sconfitte; mortalmente avvinghiati dall'angoscia per l'incomprensibilità dell'ignoto, simile a quella suscitata dalla goccia d'acqua che ogni notte, misteriosamente, sale su per scale nel racconto “Una goccia” di Dino Buzzati (cfr. D. Buzzati, Paura alla scala, 1984, pp. 121-124-125).

Dott.ssa Caterina Di Loreto - Venezia 12 Maggio 2017 

Una estetica Di Loretiana.

“I vestiti nuovi dell'imperatore” è una fiaba danese scritta da Hans Christian Andersen e pubblicata per la prima volta il 7 aprile 1837. Spesso questa favola viene erroneamente conosciuta come Il Re è Nudo. La storia la conosciamo un po’ tutti, perché affonda le radici in antichissime tradizioni popolari. Un imperatore è così vanaglorioso da non accorgersi di essere stato truffato da due sedicenti tessitori, al punto da credere di indossare abiti di stoffa impalpabile, quando invece è nudo, e il popolo è così servile, così omologato da fare finta di non avvedersene. Solo la purezza di un bambino scoprirà l’incomprensibile, vigliacca cecità intellettuale di tutti, governanti e governati, additando il Re e urlando: “È nudo!”.

L’arte di Stefano Di Loreto presenta la rara forza dell’identità qualitativa: questa consiste, allo stesso tempo di un processo estetico, di una personalità estremamente intellegibile, e in un aspetto simbolico che, nella sua narrazione semantica, è più sociale che concettuale. Questi due aspetti, forma e contenuto, sono indistinguibili, sovrapponibili; è in questo senso che possiamo parlare di identità qualitativa dei due “oggetti mentali” delle opere di questo artista: la tela e il suo significato, cardini che fanno delle sue opere un unicum che colpisce. Intorno alla centralità di questi due aspetti va dipanata l’analisi sull’operato di Di Loreto, soffermandosi prima sul ruolo del pensiero che l’artista pone nelle sue opere, per poi trovare il suo corrispondente, l’identico, come lo abbiamo definito, lo sviluppo estetico.

Non è azzardato accostare l’intento interiore di Stefano Di Loreto e della sua arte nel cercare di mostrare a tutti, indicando col dito della mano, così come fa il bambino della favola con i suoi occhi innocenti, che il Re è nudo, ovvero il cercare di mostrare a tutti che c’è qualcosa che non va, che tutti vediamo, che tutti ce ne accorgiamo, ma che tutti fanno finta di non vedere; nelle sue opere l’artista ce ne parla con autentica eleganza ascetica. La vanagloria dell’uomo e la distruttività di questo sentimento sono state cantate dalla letteratura sin dai tempi remoti, ma è la potenza che l’uomo ha oggi a rendere pericoloso il percorso della modernità, a creare problemi che minano il senso di Umanità. Ecco allora che le opere di Stefano di Loreto hanno temi molto precisi e pungenti, come le frustate con le quali questo artista vibra il colore sulle sue tele, temi molto “politici”, quali la globalizzazione, l’economia, l’alimentazione, temi più propriamente sociali, come la comunicazione, o temi dal valore più ontologico, come il tempo, e L’Humanitas, appunto.

Il confronto con questi argomenti si fa urgenza nel lavoro di Stefano Di Loreto. A differenza di molti moti e molti stili, va ascritta alla sua arte una caratteristica rara e differente: il suo non è un monologo, un voler affermare, sentenziare, accusare, ma è un atto di raccolta della realtà, perché sia presentata nuda al prossimo. La novità nel modo di concettualizzare di Stefano Di Loreto sta nel fatto che ciò che viene proposto nelle tele è un dialogo, inteso nel senso proprio dell’accezione delle origini: un confronto verbale che attraversa (dià, in greco) le persone, per discutere idee non necessariamente contrapposte con la parola (il logos). Tutti sappiamo come stanno le cose, ma ne dobbiamo parlare, perché è solo attraverso il dialogo che possiamo trovare una soluzione e questo è ciò che dicono le opere del nostro Artista.

A questo punto, quindi, possiamo cogliere quell’importante aspetto della tematica di questo artista. Questo atto di “raccogliere la realtà”, nell’arte di Stefano Di Loreto, è concettuale e materiale, è ideologico e fisico. L’artista, infatti, prende realmente oggetti simbolo, frammenti concreti della nostra realtà per porli sulla tela: parti di orologi, banconote, pezzi di smartphone, sementi; oggetti che diventano i suoi significanti. Ed è in questo aspetto che si materializza l’identità qualitativa di cui abbiamo parlato, non c’è distinzione tra l’opera e il suo significato, sono due oggetti uguali della mente.

L’arte di Stefano di Loreto non è denuncia, non è analisi, non è osservazione; è dialogo, necessariamente dialogo, è un purché se ne parli o meglio se ne discuta; è questa la peculiarità che rende differenti le sue opere ed è questo l’aspetto che ne genera l’estetica.

Alcuni temi, con i quali Stefano Di Loreto parla nei suoi lavori, ruotano intorno ad una sua invenzione, la DECOSTRUZIONE CONCETTUALE, termine felice che sintetizza la filosofia dell’artista in una intuitiva aggregazione degli oggetti e dei significati che essi rappresentano; ciò sta ad indicarci (ancora una volta) che è solo decostruendo la realtà che possiamo riappropriarcene. È nell’atto simbolico della decostruzione di un telefono o di un orologio che possiamo sentire la presenza del rapporto che abbiamo con i nostri smartphone; è sempre attraverso lo stesso atto che possiamo dialogare con noi sulla natura del nostro rapporto con il tempo, condizionato dal giogo della contemporaneità. Decostruire, per Stefano di Loreto, significa osservare, smontare e analizzare l’oggetto della nostra osservazione (ad esempio il tempo, attraverso un suo significante: l’orologio) per poterne capire le parti e il tutto, per poter rendere quell’oggetto stesso pronto ad una potenziale ricostruzione su basi nuove, per poter migliorarlo o rifondarlo.

Di Loreto ha sviluppato spontaneamente un modo di lavorare nella sua arte per progetti, procedimento particolarmente amato e tenuto in considerazione dal sistema arte contemporaneo. Nello sviluppo di un argomento, l’artista non si ferma alla realizzazione di una sola opera, ma ne compie un ciclo. Nelle opere create intorno a questioni sociali, come quelle dedicate al tema della Globalizzazione (12 opere dedicate, fino a oggi), attraverso l’uso di oggetti quali penne a sfera di plastica ordinate in modo seriale, viene proposta una riflessione sul pensiero unico (Pensiero Unico, titolo di 4 opere del tema dedicato). Sempre nello stesso ciclo, il pensiero del Gusto Uniforme (Gusto Uniforme, 4 opere) è realizzato mettendo in scena una fila di gelati nocciolati tutti uguali (si pensi intuitivamente a temi come la produzione industriale, la lontananza dalle produzioni artigianali). Ancora, attraverso l’apposizione sulla tela di cinghie di motore percepiamo il tema del lavoro, dei suoi costi e delle conseguenze delle dinamiche retributive che oggi portano masse di umani a sciamare tra i continenti (4 opere della serie: Globalizzazione, Lavoro a Basso Costo… ); discorso sviluppato in un altro aspetto, questo, anche nel ciclo Humanitas con le opere dedicate all’immigrazione (Immigrazione, 4 opere), con le quali basta un piccolo pezzo di filo spinato per capire e far nascere il dialogo. In un’altra collezione, Alimentazione, Stefano Di Loreto ci propone sementi accanto a provette e spighe infilate in provette di laboratorio (Ricerca Mater, 5 opere); più simbolico di così non può essere. L’uso dell’oggetto sulla tela è materia estetica e simbolo.

L’eleganza delle opere di Stefano di Loreto non dà a vedere che la tensione creativa dell’artista è tutta tesa verso la ricerca di moderni archetipi, oggetti/icona che devono indicare immediatamente il loro ancestrale. Il suo operato assume, quindi, un valore catartico: affrontando un problema se ne comincia la liberazione.

L’impianto visivo delle opere dell’artista, così armonicamente simmetrico, crea un’estetica molto personale, che si può ben definire “Di Loretiana”. Le sequenze formali, le penne bic in fila, la disposizione ordinatamente disordinata dei numeri, il supposto rigore delle fila di monete e banconote, ci appaiono subito “belle”, armoniose, stranamente familiari: questo risultato è frutto di una delicata e sapiente distribuzione aurea degli spazi, procedimento esoterico cercato, volto, anche in questo caso, a due significati, proporre bellezza e pensare alla bellezza (dell’uomo, del mondo).

Il segno ricorrente, informale, che campisce la produzione di questo artista e che contraddistingue tutto il suo operato, è questa frustata, questa traccia, così avversa alla natura del dripping - da europeo quale è Di Loreto si trova più vicino all’Informale Europeo che all’Espressionismo Astratto Americano - e fonda la sua estetica sull’ampiezza delle proporzioni che alletta fortemente il senso del gusto visivo. Il colore dei suoi lavori ha Intrinsechi omaggi alla storia dell’arte: Schifano, Mirò, Kandinskij, l’Arte Calligrafica Giapponese, la Pop Art, Warhol e Arman, le tonalità della Scuola di Piazza del Popolo (ancora Schifano, Angeli, Festa). Di Loreto usa colori netti, chiari e luminosi (anche quando usa il nero riesce a farlo sembrare dalla parte della luce e non del buio). Tuttavia è con la dominanza del bianco, simbolo di candore e purezza, che rappresenta l’Humanitas, in grado, se vuole, di ritrovare sé stessa. L’ordine e la grazia dell’impatto visivo chiamano lo spettatore a parlare con le opere di Stefano Di Loreto.

La frustata scuote e diventa linea raffinata della composizione pittorica e da atavico simbolo di violenza, si trasforma in forza, in segno vivido, in attenzione grafica e in monito. L’insieme di colori, oggetti e forme subisce quel processo magico, che solo un grande artista riesce a compiere: trasformare le idee in arte.

Dott. Federico Caloi - Milano - 20 Gennaio 2017


Presentazione mostra personale DECOSTRUZIONE CONCETTUALE c/o Museo d'Arte Moderna Vittoria Colonna, Pescara - 09 Luglio 2016

Chi è Stefano Di Loreto:

Artista autodidatta che comincia a riconoscersi come tale da circa 15 anni fa quando si avvia con convinzione a seguire quella strada che si era aperta nel mondo occidentale a partire dal 2° dopo guerra con le forme creative dell’arte concettuale, della pop art e ciò in seguito alle profonde trasformazioni della società che riflettevano i grandi mutamenti economici, finanziari e culturali avvenuti in quel periodo.

L’opera di Mario Schifano e ancor più quelle del “nouveau realisme” di Fernandez Arman che ha portato l’oggetto nel contesto pittorico sancendone la sua autonomia espressiva, hanno rappresentato i modelli e i riferimenti culturali nei quali Stefano Di Loreto ha individuato il proprio percorso artistico, nutrendolo poi di propri elementi creativi e personali ricerche sulla complessità e sulle trasformazioni del mondo contemporaneo.

Questa mostra dopo quella tenuta al MuMi a gennaio di questo anno, considerabile una antologica della produzione degli ultimi 15 anni, propone circa 40 opere, le più recenti, realizzate tra il 2015 e il 2016. E’ impressionante, a dir poco, la capacità di questo artista di realizzare in così poco tempo un numero tanto rilevante di lavori. E’ assai probabile che queste opere fossero già da tempo nel pensiero dell’artista che poi le ha materializzate quasi di getto sulle tele.

Il lavoro dell’artista è una esplorazione perenne, una ricerca di significati da scoprire e da esprimere, nell’eterno dubbio dell’incertezza, quindi un lavoro che non si definisce mai, e forse non si conclude nemmeno sulla tela perché ogni momento espressivo ne evoca un altro ancora invisibile, ancora da scoprire. Il titolo della mostra “decostruzione concettuale” che non è altro che il nome della ricerca creativa di Stefano Di Loreto, rappresenta l’atto di compiere il processo inverso rispetto a quello che ha portato alla costruzione di una situazione, smontandone e rovesciandone i significati, deformando la realtà data. Un titolo che mette insieme il pensiero filosofico di Jaques Derrida come annientamento del concetto di sistema che ingloba tutto in sé, con i fondamenti dell’arte concettuale intesa come elaborato di pensieri e idee.

Un titolo che ci introduce immediatamente dentro il senso della ricerca artistica di Stefano Di Loreto, dentro quella sorta di sollecitazione a non fermarsi alla realtà esistente/apparente e quindi a cercarne un’altra.

La decostruzione, diversamente da quanto si potrebbe pensare, non distrugge, ma svela un opposto, una realtà prima invisibile. Tutte le opere, infatti, presentano concetti in dicotomia in cui l’uno contiene in “nuce” anche il suo opposto, come nel principio Yin e yang.

Le opere in mostra riferite a diverse tematiche evocano un mondo che è quello che sta intorno a noi e nel quale viviamo nella quotidianità, nella normalità. Quella normalità a cui siamo talmente abituati da diventare insignificante, incapace di produrre approfondimenti perché tutto, noi compresi, è sprofondato nella norma. Cellulari, catene, ingranaggi meccanici, penne bic, pile di monete, testate di giornali, emoticon, orologi, gelati industriali sono cose, oggetti reali che usiamo quotidianamente, senza suscitare in noi alcuna riflessione, alcuna curiosità oltre il semplice utilizzo. E ciò fino a quando questi stessi oggetti o elementi non riprendono vita sulla tela attraverso un gesto imprevedibile dell’artista che li rimuove dalla quotidianità, dalla pura percezione sensoriale, rigenerandone i significati, e mostrandoci come la magia dell’arte riesca a trasformare quelle grezze immagini della realtà in espressioni addirittura poetiche, restituendoci nello stesso tempo quella capacità critica del pensiero a guardare oltre.

Egli non utilizza i mezzi espressivi tradizionali, ma porta sulla tela oggetti ready-made come penne bic, provette, cellulari, ingranaggi, monete etc., e agisce sul quadro con ampie frustate di colori cariche di una energia capace di scuotere l’intero contesto. Una energia che produce scintille di colori che poi si depositano come sciami di api sul fondo della tela.

Sulle tecniche utilizzate e sulle diverse tematiche trattate dall’artista vi introdurrà dettagliatamente la dott.ssa Annalisa Fanti, mentre io mi limiterò al tema del “ tempo” rappresentato dagli orologi e per conseguenza al concetto numerico presente nelle ultimissime opere.

Il Tempo, il grande contenitore dell’ esistenza di ogni cosa, di ogni forma vivente, della vita e della storia degli uomini sulla Terra.

Qual’è il suo significato, e cosa contiene il nostro tempo moderno?

Nell’antica Grecia venivano utilizzati diversi termini per indicare il tempo, tra cui il tempo Kronos e il tempo Kairòs; il primo ciclico, di natura quantitativa, riferito allo scorrere delle ore e quindi al passato, al presente e al futuro, il secondo, Kairòs, di natura qualitativa era il tempo fuori dalla cronologia, quello speciale che allarga il nostro spazio di esistenza consentendoci la libertà di cogliere e costruire qualcosa di nuovo da qualcosa di rigido e vecchio.

Nei tempi moderni siamo sempre più asserviti al tempo Kronos dell’orologio. Misurare il tempo è diventato una ossessione che pervade ogni attività umana, come necessità di un tempo sempre più stringente, preciso, più infittito di cose da fare e di obiettivi da raggiungere, nell’illusione di guadagnare tempo da vivere e soprattutto ricchezza. Ci ritroviamo così a vivere un tempo quasi disabitato dall’uomo, dove numeri e lancette sempre più veloci prendono il posto della nostra vita interiore. Rinunciamo al tempo della psiche, al tempo per riflettere , per essere solidali, alla bellezza di un tempo che ci potrebbe rendere più liberi e felici. Rinunciamo a quel tempo che più facilmente eliminiamo, costretti dal potere di un sistema che determina ogni regola.

Stefano Di Loreto esegue la decostruzione concettuale del tempo attraverso le forme degli orologi che ci si presentano prima regolari e poi ridotti in pezzi, a significare la necessità e la possibilità di rompere quell’ingombrante tempo cronologico e aprire nuovi varchi attraverso i quali intravedere ciò che esiste oltre, in questo caso quel tempo Kairòs che abbiamo sacrificato ad un supposto benessere materiale che giustifica pratiche distruttive ed inquietanti, sfruttamento della natura e degli uomini, manipolazioni e quant’altro.

L’intera produzione di Stefano Di Loreto, nella diversità delle tematiche, nasce ovviamente dentro il tempo della modernità, da quel tempo cronologico chiuso, intenso, generato da ragioni produttive e di arricchimento che sacrificano fino all’eliminazione ogni altra possibilità o esigenza umana.

L’uomo si ritrova ad essere il soggetto-oggetto di un sistema che subisce e nello stesso tempo contribuisce a nutrire, avvolto in una spirale illusoriamente ampia ma inevitabilmente ineludibile, che ne condiziona profondamente la libertà e la capacità di vedere possibilità di vita diverse.

Attraverso il processo della decostruzione concettuale Stefano Di Loreto porta all’espressione idee e riflessioni non normalmente visibili, ma che il gesto pittorico sollecita e riesce a generare sulla tela restituendole alla sensibilità di chi guarda.

Seguendo il percorso della mostra, come andremo a vedere, si coglie la sensazione che l’uomo moderno viva tranquillamente in un caos comunque accettato, perché il caos, la confusione, la mancanza di giudizio critico, sono entrati a far parte della normalità della vita, dove non esiste più il tempo per riflettere e quindi la fiducia in una diversa visione possibile della realtà.

Nelle ultimissime opere troviamo solo numeri non più ingabbiati in un sistema, numeri astratti, puri, che secondo la filosofia dei pitagorici rappresentano l’archè, il principio vitale armonico che governa i fenomeni della vita. Sono gli occhi dell’anima che vedono infinitamente più lontano dagli occhi del corpo. Mi piace concludere questo discorso pensando queste opere e questi numeri come segnali che l’artista ci offre per immaginare una speranza.

Dott.ssa Carla D’Aurelio - Pescara 09 Luglio 2016

Fondazione Roma Sapienza - Concorso Arte in luce

IV edizione
Integrarte: Integrazione e Multiculturalità
Vincitore Sezione Pittura: Stefano Di Loreto con Immigrazione 01

Motivazione

L’opera si segnala per l’effetto edonisticamente decorativo e per una intensa partecipazione ai drammi dell’attualità quotidiana. Nel particolare del filo spinato rotto e addolcito dal colore, emerge un messaggio di speranza e possibile libertà, così come le traiettorie verticali oltrepassano il confine della tela verso l’infinito.

Alberto Dambruoso

Museo Laboratorio di Arte Contemporanea – Roma
06 Aprile 2016

Commissione scientifica

Mario Morcellini
Pro Rettore alle Commissioni Istituzionali della Sapienza Università di Roma; Vicepresidente del Consiglio Scientifico della Fondazione Roma Sapienza

Carlo Musto D’Amore
Direttore Generale della Sapienza Università di Roma

Alberto Dambruoso
Storico dell’Arte, professore di Storia dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Foggia, critico e curatore indipendente d’Arte Contemporanea

Ettore De Conciliis
Pittore e scultore contemporaneo

Luigi Tilocca
Pittore contemporaneo

Fondazione Roma Sapienza - 06 Aprile 2016

Estetica Paradisiaca "L’Italia degli Artisti. Dalla 56° Biennale di Venezia al Giubileo della Misericordia. Talenti e maestri a confronto" Edizioni Start

Artista autodidatta, Stefano Di Loreto inizia a dipingere quadri figurativi già da ragazzo, scoprendo in seguito una particolare fascinazione verso un tipo di arte più rarefatta e concettuale. Il suo percorso di ricerca lo conduce ad avvicinarsi alla Pop-art italiana e al Nouveau Realisme, dei quali ammira la libertà espressiva e l’utilizzo del colore. Nel corso degli anni Duemila Di Loreto ha disegnato vari prodotti per un marchio italiano ed ha partecipato a diverse rassegne artistiche; in particolare una personale ospitata nel Palazzo Sirena di Francavilla al Mare a cui ha fatto seguito l’esposizione internazionale “Artisti per il Giubileo”, svoltasi in occasione dell’Anno Santo. Negli ultimi mesi, infine, ha esposto le sue opere in una personale di pittura presso il Museo Michetti (MUMI) di Francavilla al Mare.

Stefano Di Loreto ha suddiviso i suoi dipinti in una serie di sezioni tematiche, ognuna delle quali comprende dalle quattro alle dodici tele, contraddistinte da titoli ed argomenti assai specifici: comunicazione, tempo, alimentazione, economia, globalizzazione e “Humanitas”. L’opera con cui l’artista partecipa alla rassegna “L’Italia degli artisti” fa parte della sezione dedicata al tempo, ed è la quinta delle sei tele di quest’area tematica. Il dipinto è contraddistinto da uno sfondo totalmente bianco: la sua superficie, tuttavia, non è uniforme ma presenta delle incrostazioni di materia, delle tracce di colore colato che le conferiscono un aspetto mosso ed articolato. Il punto focale della composizione è un orologio dipinto di bianco e posto in rilievo, fermo a segnare le ore dieci e trentuno minuti. La lancetta dei secondi, solitamente colorata in rosso, presenta qui una tonalità rosa intenso, la stessa che distingue l’interno dello zero delle ore dieci. Il colore è steso in modo da presentare grumi e pare che l’artista abbia letteralmente riempito l’interno del numero di matera tinta. La zona inferiore del quadrante è contraddistinta da minuscole tracce di colore azzurro, gocce quasi invisibili che contribuiscono tuttavia all’equilibrio cromatico dell’opera. L’orologio è attraversato da gocciolature rapide di colore, che procedono incrociandosi dal basso verso l’alto, da sinistra verso destra e viceversa. La tecnica del dripping, inventata da Jackson Pollock e utilizzata dagli Espressionisti Astratti, è molto amata da Stefano Di Loreto che la utilizza nella sua forma originale, stendendo la tela per terra e lasciando gocciolare il colore dall’alto. Le linee che attraversano l’opera paiono dei graffi che investono nel loro cammino l’oggetto della tela, interrompendosi all’esaurirsi della loro corsa. L’incrocio di linee genera una sovrapposizione di materia, che diventa più densa e fitta al centro della tela. Anche le altre opere della collezione “Tempo” presentano orologi, molti dei quali fermi alla stessa ora ed attraversati da rette di colore più o meno marcato. Talvolta le linee diventano così fitte e spesse da assumere la parvenza di cancellare e coprire gli orologi.

Tramite queste opere, Stefano Di Loreto intende mettere in evidenza il contrasto tra il tempo meccanico (quello dell’orologio) ed il tempo naturale. L'Età Moderna è stata infatti l’epoca del controllo sul tempo: il progresso tecnologico ha permesso di analizzarlo in modo scientifico e di piegarlo alla necessità della produzione. La nostra epoca ha ereditato questo fenomeno e ogni persona scandisce gli impegni della sua giornata in base ai secondi tracciati dalle lancette del suo orologio. Con la sua opera, Di Loreto vuole ricordare al pubblico che il modo in cui consideriamo il tempo è una mera convenzione umana, lontana da ciò che realmente esso rappresenta. Lo sfondo bianco della tela “Tempo 05” rappresenta l’originaria purezza, che dialoga con il tempo naturale e rifiuta quello automatico e meccanico. L’auspicio dell’artista è dunque quello di poter sentire nuovamente il fluire del tempo originario, indistinto e senza fine, liberandosi dalle catene autoinflitte di una rincorsa verso l’istante perduto.

Dott.ssa Stefania Pieralice - 18 Marzo 2016

Presentazione mostra personale DECOSTRUZIONE CONCETTUALE c/o Museo Michetti, Francavilla al Mare - 09 Gennaio 2016

Un’etichetta con un titolo racchiude linguisticamente quello che materialmente è percepibile dallo spettatore come uno spazio bianco, appositamente delimitato, nel quale abitano una moltitudine composita di materiali appartenenti alla vita quotidiana. Penne, telefoni cellulari, orologi, monete, gelati in ceramica, mattoncini in pietra, semi di grano e riso, cinghie di trasmissione per i motori, sono questi i detriti della contemporaneità che aprono il sipario sulla tela. Questi oggetti, presentandosi al fruitore come un ready-made, suggeriscono la capacità (da parte dell’artista) di saper comunicare le proprie categorie concettuali finalizzate alla lettura di un nuovo aspetto della realtà. Le opere pittoriche di Stefano Di Loreto incorporano al loro interno il concetto di decostruzione, inteso come una provocazione in grado di suscitare, proprio a causa del suo carattere innovativo, una messa in scena che desti l’attenzione del lettore.

Il termine decostruzione (déconstruction) è stato introdotto in passato dal filosofo francese Jacques Derrida. Fin dal 1967 lo studioso, utilizzava questa parola per tradurre il tedesco Destruktion con cui Heidegger (Sein und Zeit, 1927) indicava la necessità di “distruggere” i contenuti stratificati nella storia dell’ontologia per farne emergere il perduto senso originario. Questo pensiero può essere rinvenuto nella poetica pittorica di Stefano Di Loreto da cui si evince che l’essenza della sua produzione artistica è racchiusa in tre fasi fondamentali: la costruzione, la decostruzione e l’interpretazione.

L’artista, servendosi di oggetti legati all’esperienza e appartenenti alla produzione industriale in serie (tipica della società dei consumi) esibisce l’oggetto senza modificarne il suo contenuto e partendo da esso costruisce l’opera. Assemblando vari oggetti tra loro e facendoli aderire sul supporto pittorico bidimensionale, l’artista decontestualizza la materialità dell’oggetto, sottolineandone il valore storico in rapporto all’individuo con il mondo. Inoltre l’artista mette in luce il mutamento di prospettiva avvenuto nell’oggetto a causa della sua mercificazione e distribuzione.

Il secondo passaggio è legato all’utilizzo gestuale del colore da parte dell’artista, sulla scia del dripping pollockiano degli anni Cinquanta, il cui campo d’azione è la potenza cromatica che diviene protagonista della decostruzione, intesa come un’efficace distruzione di tutte le problematiche legate alla monotonia ed alla routine dei comportamenti quotidiani, nonché alle politiche sociali ed economiche del nostro tempo. La pratica decostruttiva presente nella coscienza dell’uomo, mette in gioco l’occhio dello spettatore e consente di eliminare la percezione di un unico punto di vista, offrendo in tal modo la possibilità di una molteplice interpretazione dell’opera.

Pertanto, l’immaginazione diviene la promotrice di un’elaborazione poliedrica e sensibile da parte del fruitore, in cui concorrono simultaneamente emozioni, sentimenti, riflessioni, immagini astratte, colori e oggetti tridimensionali che confluiscono all’interno di un prodotto artistico che possa fungere da supporto per l’esperienza collettiva, come se fosse una guida per l’ingresso alla realtà.

Attraverso una attenta riflessione sulla trasformazione dell’arte nelle tendenze del ventesimo secolo, si riescono a comprendere meglio i profili evolutivi della produzione artistica nel cui ambito l’utilizzo e la manipolazione di oggetti presi dalla realtà costituiscono un tratto comune a molti movimenti ed artisti.

Stefano Di Loreto, in linea con il passato, continua in un certo senso a ricreare ambientazioni del tutto concettuali, senza però rinunciare all’oggetto che diviene simbolo esistenziale, antropologico oltre che strumento di conoscenza per il dibattito in merito a questa tipologia di arte contemporanea.

Alla luce di queste considerazioni diviene più agevole comprendere il significato ed i contenuti esposti dall’artista tramite varie sezioni tematiche che costituiscono un vero e proprio itinerario del sapere articolato e ripartito nelle seguenti categorie concettuali: tempo, comunicazione, economia, alimentazione, globalizzazione e “Humanitas”.

TEMPO
<<Il fascino degli orologi: rendono concreta e visibile una cosa astratta come il tempo, che non si vede e non si tocca, eppure c'è.>>

Le opere pittoriche che simboleggiano la tematica del tempo nascono dalla volontà, da parte dell’artista, di mettere in risalto la conflittualità che da sempre è emersa intorno alla concezione della dimensione temporale, con il tentativo di opporsi al modello sociale contemporaneo, quello cioè improntato sul tempo meccanico.

Orologi tridimensionali, si mimetizzano tra tonalità di gialli, arancioni e blu attraverso “frustate” di colore che annullano il tempo meccanico, per una riappropriazione del tempo naturale. Le opere esposte in questa sezione, rappresentano il primo itinerario di ricerca da parte dell’artista secondo il quale la tela bianca, rappresenta la purezza, che fa da sfondo al linguaggio dei segni come a proporre una sorta di racconto per lo spettatore.

Nell’opera “Tempo-02”, l’artista mette in scena un orologio decorato con dei numeri romani, privo del suo originario funzionamento che viene oscurato da una centrifuga di colore che occupa gran parte del supporto pittorico, lasciando alcuni spazi bianchi sulla tela.

Stefano Di Loreto lavora direttamente sul supporto pittorico, disposto orizzontalmente al pavimento, sul quale fa sgocciolare il colore in modo casuale come se fosse un’intervento di forze impersonali ed automatiche. Attraverso la decostruzione concettuale, affidata alla forza del colore, la tela bianca è come se tornasse alla sua pura autenticità stimolando il dialogo a-temporale che originariamente si era concepito tra l’artista e la sua stessa necessità di creazione.

COMUNICAZIONE

<<Ogni miglioramento nelle comunicazioni aumenta le difficoltà di comprensione.>>

La sezione dedicata alla comunicazione, costituisce una parte assai rilevante dell’indagine condotta a cura dell’artista Stefano Di Loreto. La “comunicazione artistica” è un linguaggio che si configura come un sistema simbolico peculiare e differente rispetto ai cambiamenti comunicativi avvenuti negli stili di vita, nella cultura e soprattutto in seguito alla diffusione delle nuove tecnologie informatiche.

Le opere esposte, che costituiscono il concetto astratto della comunicazione, rappresentano quello che Adorno, nel 1966, definisce come <<spirito sedimentato>>. “Spirito” è la categoria che riassume una soggettività estetica corrispondente alla mimesi dell’esistente. La creazione artistica, intesa come un processo comunicativo, è un punto di arrivo entro il quale si snodano varie tematiche connesse alla scrittura, alla tecnologia e alla cultura.

La scrittura è da considerarsi come lo strumento fondante della razionalità ed essendo la mediatrice culturale per eccellenza, ristruttura la stessa oralità, assegnandole funzioni diverse, subordinate rispetto a quelle della scrittura. Questo processo, culmina con l’invenzione della stampa e la nascita della società industriale e dei mass media.

L’opera intitolata “Raptus calami”, è caratterizzata da una finezza estetica del tutto singolare. Come in un libro aperto, lo spettatore può cogliere la scrittura di una pagina intrisa di parole illeggibili, incomprese e indecifrabili. L’invito è ad una “scrittura di qualità” che possa sovrastare il carattere artificioso, enfatico di una scrittura autocompiaciuta che si è impossessata di gran parte del giornalismo italiano e delle complicazioni d’informazione contemporanea di questo paese.

Di grande originalità è il monocromo intitolato “Raptus calami- 03”, ideato tramite centinaia di frustate di colore in antracite. La lucentezza dell’opera è data non solo dal materiale utilizzato, ma anche dalla presenza di penne, disposte a ventaglio sulla tela.

Con estrema chiarezza e capacità di sintesi, Stefano Di Loreto realizza l’opera “Comunicare-02”, dove inserisce alcuni “smile”, intesi come geroglifici, che consentono di interpretare il ruolo chiave della comunicazione nel mondo contemporaneo e di trasferire la natura astratta ed elementare dei mezzi comunicativi.

Le opere intitolate “Teckno”, si riferiscono alla tecnologia che è all’interno di un costante processo di evoluzione e sviluppo che coinvolge vari aspetti della vita quotidiana. Telefoni cellulari “galleggiano” sulla tela come automi della contemporaneità, e provocano una decostruzione concettuale in grado di cogliere nella giusta misura, il potenziale della tecnologia.

ECONOMIA

<<Il denaro non dorme mai.>>

Lo spirito critico che Stefano Di Loreto adotta all’interno della sezione dedicata al concetto di economia, è rappresentato da una serie di opere pittoriche prodotte nel 2015. La tematica affrontata trae fondamento dalle problematiche riconducibili concettualmente alla speculazione finanziaria che ha condotto il pianeta sull'orlo di un abisso economico. Wall Street è il simbolo del tempio della finanza mondiale.

Le opere sono caratterizzate dalla presenza di monete che si mostrano mutate esteticamente rispetto al loro stato originario in quanto sono state ricoperte in parte dal colore e disposte liberamente o geometricamente sulla tela. La lucentezza e il valore monetario perdono il proprio ruolo fondamentale d’origine e attraverso la decostruzione concettuale si evince “l’inganno” che si nasconde dietro il denaro moderno.

In particolare nell’opera “Wall Street n. 2”, una grande quantità di monetine è disposta architettonicamente al centro del quadro, fino a formare tre file di valori e alla base di questa struttura, proliferano altre monete in modo disorganico tra loro, quasi a simboleggiare una precipitazione.

ALIMENTAZIONE

<<Il problema più grande è la perdita del valore simbolico dei cibi. Sono diventati commodities, beni di consumo senza anima.>>

La sezione dedicata all’alimentazione affronta una delle tematiche legate al dibattito contemporaneo sui i rischi per l’ambiente e la salvaguardia per la salute umana con particolare riferimento all’approfondimento del tema relativo agli Organismi Geneticamente Modificati (OGM).

Biotecnologie, ingegneria genetica, organismi geneticamente manipolati e clonazione, sono parole divenute d’uso quotidiano e sono gli esempi evidenti che il parlare comune è influenzato dal contesto di sviluppo della società. “Ricerca Mater” è il titolo del ciclo di opere dedicate a questa sezione. In questo contesto elementi quali spighe di grano, semi di riso e mais costituiscono i simboli principali di una lunga tradizione contraddistinta dalla fruizione degli stessi elementi a titolo di doni naturali a beneficio non solo della crescita e dello sviluppo socio-economico, ma anche di una maggiore sicurezza alimentare.

Nell’opera denominata “Ricerca Mater-OGM”, sullo sfondo bianco della tela, la verticalità del colore gestuale delinea un campo di grano al cui interno lunghe spighe tridimensionali sono inserite all’interno di provette da laboratorio. In tal modo viene rappresentata dal punto di vista artistico l’analoga situazione di quello che scientificamente è definibile come organismo geneticamente modificato.

In un’altra opera dal titolo “Ricerca Mater-OGM -03”, semi di grano, riso e mais gremiscono il supporto pittorico e diventano cenere di colore ormai dispersa dalle fiale tubolari. Macchie di colore si sovrappongono tra loro e le rigorose linee nere si depositano sulla superficie in segno di decostruzione e annientamento, in favore di una crescita alimentare sostenibile.

GLOBALIZZAZIONE

<<Una società globalizzata si governa meglio se è fatta di persone con poco senso critico, quindi irrazionali.>>

La prospettiva di unificazione del mondo, intorno ai valori legati al consumismo e alla creazione di un sistema aperto di scambio, ha portato ad una sempre più crescente omologazione a livello mondiale dei consumi. Inoltre la standardizzazione dei comportamenti antropologico-culturali, da parte dell’umanità, ha provocato danni nei confronti delle specificità locali con un decisivo aumento delle disuguaglianze tra i popoli.

In questa sezione, Stefano Di Loreto offre un proprio personale contributo per l’approccio ad una tematica molto complessa da affrontare. Infatti, il fenomeno della globalizzazione presentandosi sotto forma di oggetto artistico, rivela agli occhi dello spettatore una realtà palpabile.

Le opere realizzate nel 2015, analizzano tre tematiche connesse al processo di globalizzazione: pensiero unico, gusto uniforme e lavoro a basso costo.

Lo strumento di divulgazione del pensiero unico è senza dubbio l’informazione che si è fatta garante di una manipolazione viziata del messaggio mediatico. L’impoverimento culturale globalizzato, teso ad appiattire ogni pensiero che possa mettere in dubbio le idee-guida dei poteri forti, oltraggia l’intelligenza umana.

L’opera “Pensiero unico” è caratterizzata dal fondo nero che mette in risalto la successione di sedici penne che divengono “scrittura visiva” per lo spettatore. L’evidente decostruzione concettuale è data dall’alternanza di “frustate” rosso magenta e grigio scuro. Un occhio attento scorgerà nel quadro altre penne, che riflettono la perdita di un “gesto unico” e assolutamente personale, come appunto quello della scrittura, utile per la costruzione di una propria identità. Allo stesso modo “Pensiero unico 2”, “Pensiero unico 3” e “Pensiero Unico 4”, fanno emergere un “sintomo ribelle” dell’artista, che si desume dalla costruzione di composizioni alquanto innovative mediante il gioco con il colore sulla tela bianca.

La tematica del gusto uniforme, si riferisce alla molteplicità delle forme che gli ingredienti e i luoghi della fruizione alimentare hanno assunto nel corso del processo di industrializzazione di un prodotto che ha imposto i suoi gusti e disgusti. Le opere esposte sono caratterizzate dall’utilizzo di gelati in ceramica e prendono il nome di “Gusto uniforme”. La tela bianca si nutre di una serializzazione del gusto (dato dal susseguirsi dei gelati in ceramica) che perde la sua uniformità grazie alla forza gestuale dell’artista e provoca la caduta del concetto iniziatico da lui stesso proposto.

Il trittico “Agricoltura”, “Industria” e “Intellettuale” è esposto in riferimento alla tematica del lavoro a basso costo. I toni si fanno più accesi, le linee diventano palpabili alla vista e al tatto, la deformità si rinviene nelle forme esplosive che affollano la tela. I simboli materiali, protagonisti di questa sezione dedicata alla globalizzazione sono le cinghie di trasmissione per i motori. Il senso di meccanicità di questo elemento viene ben espresso nelle opere di Stefano Di Loreto grazie all’accostamento delle cinghie tra di loro quasi a simulare una rotazione di ruote dentate che trasmettono a percezione di movimento.

La questione dello sfruttamento della manodopera a basso costo in agricoltura è rappresentata nella prima opera del trittico attraverso l’inserimento di sfumature di verde, in contrasto con l’atmosfera celeste simboleggiata da un colore azzurro. La scelta dei colori da parte dell’artista può riferirsi al mondo naturale in contrapposizione all’oggetto meccanico.

Nella seconda opera del trittico, che prende il titolo di “Industria”, il colore predominante è il rosso che possiede la caratteristica di porosità e simboleggia, nel contempo, la situazione di pericolo. Il rimando al “danno biologico” connesso al lavoro, incide negativamente sulla vita di un lavoratore. La decostruzione concettuale elimina la funzionalità delle ruote meccaniche provocandone la decisiva rottura.

La terza ed ultima opera del trittico è in giallo ed è lo specchio della nuove generazioni, soprattutto in un contesto quale quello italiano, caratterizzato da tempi lunghi di inserimento e di stabilizzazione occupazionale dei giovani. La disoccupazione si colora di blu mentre l’adattamento al contesto lavorativo a basso costo prende corpo sullo sfondo celeste e la decostruzione concettuale agisce sul supporto pittorico in spesse linee di colore nero.

HUMANITAS

<<L’arte è il potere di umanizzare la natura, d’infondere i pensieri e le passioni dell’uomo in tutto ciò che è l’oggetto della sua contemplazione.>>

La sezione che l’artista dedica all’Humanitas”, racchiude tematiche molto forti, quali l’immigrazione e la pietà cristiana, che conferiscono all’esperienza una visibilità che supera l’astrattezza.

La forza e l’energia trasmesse nelle quattro tele esposte, riflettono la storia attuale caratterizzata da una parola che da sempre ha contraddistinto la vita degli esseri umani: l’immigrazione. Una problematica che costituisce uno dei nodi teoretici del discorso sull’abitare. Del resto lo stesso Jung sosteneva che la dimora rappresenta un delicato simbolo attraverso il quale l'inconscio tesse la propria sintassi nei sogni.

L’abitare, nel suo significato più ampio, non si riferisce esclusivamente all’oggetto-casa, ma può suscitare una riflessione più ampia.

L’opera materica intitolata “Immigrazione” è caratterizzata dal fondo scuro che mette in risalto la tridimensionalità del filo spinato. Quest’ultimo è lo strumento dell'organizzazione differenziale dello spazio, simbolo di oppressione, delimitazione e materializzazione di una "gestione politica dello spazio”. Un pezzo di filo spinato è sospeso nella parte bassa dell’opera in corrispondenza alla sua precedente rottura teso a simboleggiare la speranza di abbattere le barriere comunicative.

Nelle opere “Immigrazione-03” e “Immigrazione-04”, ancora una volta vi è il rimando al dato naturale. La materia del colore verde si espande sulla tela e in prossimità della linea apparente che separa la terra dal cielo, il filo spinato occulta le simmetrie del paesaggio naturale. Il filo spinato non è l’unico elemento che simboleggia la tematica sull’immigrazione. Infatti nell’opera “Immigrazione-02” , Stefano Di Loreto utilizza dei mattoncini in pietra per erigere un muro sulla tela. Quest’ultimo è definibile come “muro della memoria” cioè il simbolo di un contesto socio-politico che ha trovato, storicamente, una propria configurazione ambientale nei luoghi in cui è stato innalzato. La decostruzione concettuale in quest’opera si colora prevalentemente di giallo, simbolo di luce, sole e energia che tende perciò al cambiamento e alla ricerca del nuovo per una liberazione dagli schemi.

Il trittico esposto nella sezione “Humanitas”, è valorizzato dall’opera “Pietà Cristiana”, selezionata ed esposta nel Palazzo Pontificio Maffei Marescotti (Roma), in occasione della mostra “Artisti per il Giubileo”, tenutasi nel Dicembre 2015. Il candore e la lucentezza di quest’opera estrinsecano pienamente il messaggio divino, e minimizzano ciò che nella realtà è globalmente afferrabile, cioè la ricchezza. Monetine e diamanti sprigionano colori sulla tela che denotano la ricchezza materiale che si oppone, al primo gesto di Pietà Cristiana, in riferimento a Cristo, simboleggiata dalla presenza delle spine. La decostruzione concettuale è data dalle linee argento e oro che frantumano le barriere tra gli uomini (il muro), mettendo in risalto il carattere spirituale dell’uomo senza limitarsi al solo aspetto materiale dell’esistenza.

Dott.ssa Annalisa Fanti - 09 Gennaio 2016